L’incipit di Archivio dei bambini perduti

È un classico: vai a una conferenza in un posto piccolo, fuori dalla sala c’è il banchetto della casa editrice, leggi l’incipit e se ti piace compri il romanzo. È successo più o meno così con Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli, che si apre con una camera fissa sull’auto di una famiglia di quasi americani che comincia il suo ultimo viaggio.

Il resto del libro sarà presto storia della letteratura.

PARTENZA

Le bocche aperte al sole, dormono. Il maschio e la femmina, le fronti imperlate di sudore, le guance rosse, striate di bianco dalla saliva seccata. Occupano l’intero sedile posteriore dell’auto, stravaccati, le membra placide e abbandonate. Dal sedile del navigatore, ogni tanto mi giro per dar loro un’occhiata, poi torno a studiare la mappa. Avanziamo nella lenta lava del traffico verso i margini della città, lungo il ponte George Washington, e ci immettiamo nell’autostrada. Un aereo passa sopra di noi e lascia una lunga cicatrice rettilinea sul palato di un cielo senza nubi. Al volante, mio marito si aggiusta il cappello, si asciuga la fronte con il dorso della mano.

Valeria Luiselli, Archivio dei Bambini Perduti