Robin Boylorn: l’unica donna nera in una classe di bianchi.

Robin Boylorn è scrittrice, autoetnografa, docente e femminista entusiasta. All’interno di uno dei suoi articoli scientifici, E Pluribus Unum, focalizzato sul tema della razza all’interno della vita accademica, ci sono molti passaggi autoetnografici.

L’autoetnografia è una disciplina nata in contrasto all’approccio etnografico. Banalizzando molto, l’etnografo studia una comunità sul campo, poi torna a casa e descrive ciò che ha osservato, usando esclusivamente il suo punto di vista. L’autetnografo invece è allo stesso tempo soggetto e oggetto della ricerca.

Questo stralcio di autoetnografia esprime il problema di essere l’unica donna nera nella classe di un college a prevalenza bianca.

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L’incipit di Febbre è una poesia disciolta nel mémoire

È bastato l’incipit per farmi capire che Febbre mi avrebbe divorato. Perché l’esordio di Jonathan Bazzi, oltre a essere una sorta di autoetnografia che tiene insieme le molte identità dell’autore, è caratterizzato da un lirismo molto intenso.

Esplorate l’inizio del romanzo: per ogni frase un’unica riga. Così le emozioni, i sentimenti e le sensazioni provocati dall’evento chiave dell’autobiografia appaiono più vividi e concreti.

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Febbre: Rozzano è Sud sequestrato, incattivito

Febbre, romanzo autobiografico di Jonathan Bazzi, si divide tra due linee temporali: il passato dell’autore a Rozzano e il racconto della sua malattia nel presente.

Jonathan Bazzi è (tra le tante cose) una persona omosessuale, nata e cresciuta in uno di quei centri che affollano l’hinterland di grandi città come Milano e Torino. Sono paesi vicini eppure lontani dalle grandi metropoli, spesso privi di opportunità culturali.

Sono posti dove incarnazioni di stereotipi maschili e femminili affollano le strade e le case popolari.

Penso che molte persone, nate e cresciute ai bordi di questi centri economici, culturali e industriali, colgano delle corrispondenze tra la loro storia e la descrizione che Jonathan Bazzi fa di Rozzano in Febbre.

Eccone un estratto

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Città Sommersa e il pericolo di un’unica storia

Torino è una città piena di cicatrici prodotte tra gli anni Settanta e Ottanta in mezzo a conflitti anche violenti. Oggi ci sono dei vinti e dei vincitori e la storia di quel periodo storico la raccontano spesso i secondi: le istituzioni che hanno sconfitto la lotta proletaria armata.

Città sommersa è il prodotto di “un atto di interesse” di Marta Barone nei confronti del padre Leonardo, condannato negli anni ottanta per partecipazione a banda armata e morto nel 2011. Mentre esplora la biografia frammentata del padre (che merita un approfondimento a parte), l’autrice ricostruisce una Torino degli Anni di Piombo molto più sfaccettata del ricordo che molti abitanti di questa città hanno ereditato e accettato.

Ovviamente il libro è molto più di una ricostruzione storica. Si potrebbe infatti dire che inciampa nella storia recente soprattutto per una contingenza emotiva. E questa è la sua forza rispetto ai saggi critici che affrontano quegli anni.

In questo articolo trovate due passaggi che smitizzano i “vincitori”.

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