2666 è diviso in cinque libri. Il primo è La parte dei critici e ha come protagonisti quattro critici letterari ossessionati da un autore tedesco misterioso: Benno Von Arcimboldi.
Il libro è suddiviso in due nuclei.
Nel primo vengono presentati i quattro protagonisti, Pelletier, Espinoza, Morini e Liz Norton, nel contesto di una lunga parodia degli ambienti accademici che si occupano di critica letteraria.
Nel secondo, tre dei quattro critici partono per Santa Teresa, una città messicana immaginaria che assomiglia in tutto per tutto a Ciudad de Juarez e dove sembra che si trovi Arcimboldi.
La ricerca è infruttuosa per i due uomini della compagnia di detective improvvisati, ovvero Pelletier ed Espinoza, che anzi è come se si deteriorassero a contatto con la città.
Liz Norton invece in Messico scopre qualcosa, che però non c’entra nulla con la letteratura.
L’incipit della Parte dei Critici, che è anche l’incipit di 2666, è la descrizione di Jean-Claude Pelletier
2666: l’incipit della Parte dei Critici
La prima volta che Jean-Claude Pelletier lesse Benno von Arcimboldi fu all’età di diciannove anni, durante le feste di Natale del 1980, a Parigi, dove studiava letteratura tedesca all’università. Il libro in questione era D’Arsonval. Il giovane Pelletier allora non sapeva che il romanzo faceva parte di una trilogia (costituita dal Giardino, di ambientazione inglese, La maschera di cuoio, di ambientazione polacca, così come D’Arsonval, evidentemente, era di ambientazione francese), ma tale ignoranza o lacuna o negligenza bibliografica, che poteva essere addebitata soltanto alla sua estrema giovinezza, non sminuì di una virgola lo stupore e l’ammirazione che il libro suscitò in lui.
A partire da quel giorno (o dalla notte fonda in cui diede per conclusa quella lettura inaugurale) divenne un arcimboldiano entusiasta e diede inizio al suo pellegrinaggio in cerca di altre opere del suddetto autore. Non fu compito facile. Pur essendo a Parigi, trovare dei libri di Benno von Arcimboldi negli anni Ottanta del Novecento non era affatto un’impresa priva di ostacoli. Nella biblioteca del dipartimento di letteratura tedesca della sua università non si trovava quasi nessun riferimento ad Arcimboldi. I suoi professori non ne avevano mai sentito parlare. Uno di loro disse che il nome gli ricordava qualcosa. Dopo dieci minuti Pelletier scoprì con furia (con sgomento) che il professore pensava al pittore italiano, sul quale, peraltro, si mostrò olimpicamente non meno ignorante.
Scrisse alla casa editrice di Amburgo che aveva pubblicato D’Arsonval, ma non ebbe risposta. Perlustrò, inoltre, le poche librerie specializzate che riuscì a trovare a Parigi. Il nome di Arcimboldi compariva in un dizionario enciclopedico di letteratura tedesca e in una rivista belga dedicata, non capì mai se per scherzo o sul serio, alla letteratura prussiana. Nel 1981 fece un viaggio in Baviera insieme a tre amici della facoltà, e lì, in una piccola libreria di Monaco, in Voralmstrasse, trovò altre due opere, l’esile volumetto di cento pagine scarse dal titolo Il tesoro di Mitzi e il già citato romanzo inglese Il giardino.
La lettura di questi due nuovi libri contribuì a rafforzare l’opinione che Pelletier già aveva di Arcimboldi. Nel 1983, a ventidue anni, si assunse il compito di tradurre D’Arsonval. Nessuno gli aveva chiesto di farlo. Non c’era allora alcun editore francese interessato a pubblicare quel tedesco dal nome strano. Pelletier iniziò a tradurlo fondamentalmente perché gli piaceva, perché era felice di farlo; certo, immaginò anche di presentare quella traduzione, preceduta da uno studio dell’opera arcimboldiana, come tesi e, chissà, come prima pietra del suo futuro dottorato.
Terminò la versione definitiva nel 1984 e una casa editrice parigina, dopo alcune letture titubanti e contraddittorie, accettò di pubblicarla. Il romanzo di Arcimboldi, destinato a priori a non vendere più di mille copie, dopo un paio di recensioni contraddittorie, positive, persino eccessive, esaurì le tremila copie della prima tiratura aprendo le porte a una seconda e a una terza e a una quarta edizione.
A quel punto Pelletier aveva già letto quindici libri dell’autore tedesco, ne aveva tradotti altri due ed era considerato, quasi unanimemente, il maggior specialista di Benno von Arcimboldi che ci fosse in tutta quanta la Francia.
Roberto Bolaño, 2666, Adelphi, pp. 15-16