Il secondo libro di 2666 è la Parte di Amalfitano, la più breve di tutte. Anch’egli, come i quattro del libro introduttivo, è un critico letterario.
Anche lui è in preda a un’ossessione, ma non è relativa ad Arcimboldi. La sua storia è questa: dopo aver vissuto a Barcellona per diversi anni insieme alla figlia Rosa (la moglie lo ha abbandonato), decide di accettare una cattedra a Santa Teresa, in Messico.
In realtà Amalfitano compare già nel primo libro, ma è una comparsa che fa da cicerone ai critici/detective. In quella parte è significativo il suo monologo sugli intellettuali messicani, che assomiglia a qualcosa che avrebbe detto Bolaño stesso.
Un frammento del monologo di Amalfitano, nel primo libro
Il rapporto con il potere degli intellettuali messicani viene da lontano. Non dico che siano tutti così. Ci sono eccezioni degne di nota. Non dico neanche che quelli che si danno al potere lo facciano in malafede. E neppure che questo darsi sia un darsi in piena regola. Diciamo che è solo un impiego. Ma un impiego nello Stato. In Europa gli intellettuali lavorano nelle case editrici o nei giornali o vengono mantenuti dalle mogli o ricevono un mensile da genitori benestanti o sono operai e delinquenti e vivono onestamente del loro lavoro. In Messico, e può darsi che l’esempio sia estendibile a tutta l’America Latina, tranne l’Argentina, gli intellettuali lavorano per lo Stato. Era così con il pri e continua a essere così con il pan. L’intellettuale, da parte sua, può difendere con fervore lo Stato oppure criticarlo. Allo Stato non importa. Lo Stato lo nutre e lo osserva in silenzio.
Roberto Bolaño, 2666, Adelphi
Nel secondo libro Amalfitano è in preda a tre grandi ossessioni:
- È preoccupato per l’incolumità della figlia, Rosa Amalfitano, perché a Santa Teresa sono state assassinate più di 200 donne in tre anni.
- Crede di vivere delle esperienze telepatiche, alla stessa stregua del popolo Mapuche dell’antico regno di Araucania, attuale regione cilena.
- Non riesce a capire come Testamento geométrico di Rafael Dieste sia finito tra i suoi libri
Se la paura per la figlia è un ponte verso la terza parte di 2666, gli altri due elementi rappresentano la parte più onirica e fuori di testa del romanzo. Per esempio, ad un certo punto Amalfitano decide di appendere il libro di Dieste a un filo per stendere i panni, alla maniera di Marcel Duchamp
Amalfitano e il Testamento Geometrico
Che esperimento è?, chiese Rosa. Quale esperimento?, disse Amalfitano. Quello del libro appeso, disse Rosa. Non è un esperimento nel senso stretto del termine, ribatté Amalfitano. Allora perché è lì?, disse Rosa. Mi è venuto in mente all’improvviso, spiegò Amalfitano, è un’idea di Duchamp, lasciare un libro di geometria appeso alle intemperie per vedere se impara quattro cose della vita reale. Lo rovinerai, disse Rosa. Non io, replicò Amalfitano, la natura. Senti, tu diventi ogni giorno più matto, disse Rosa. Amalfitano sorrise. Non ti avevo mai visto fare una cosa del genere a un libro, aggiunse Rosa. Non è mio, disse Amalfitano. Non importa, ribadì Rosa, ora è tuo. È curioso, disse Amalfitano, dovrebbe essere così ma la verità è che non lo sento come un libro di mia proprietà, e poi ho l’impressione, quasi la certezza, di non danneggiarlo per nulla. Allora fa’ conto che sia mio e staccalo, disse Rosa, i vicini penseranno che sei matto. I vicini, quelli che mettono pezzi di vetro sul muro? Quelli non sanno nemmeno che esistiamo, ribatté Amalfitano, e sono infinitamente più matti di me. No, non quelli, disse Rosa, gli altri, quelli che possono vedere perfettamente bene cosa succede nel nostro cortile. Qualcuno ti ha infastidito?, chiese Amalfitano. No, rispose Rosa. Allora non c’è problema, disse Amalfitano, non preoccuparti per una sciocchezza, in questa città stanno succedendo cose molto più terribili che appendere un libro a un filo. Ma una cosa non esclude l’altra, obiettò Rosa, non siamo barbari. Lascia in pace il libro, fa’ conto che non esista, dimenticalo, disse Amalfitano, a te non è mai interessata la geometria.
Roberto Bolaño, 2666, Adelphi