Ruggine Americana è il romanzo d’esordio di Philipp Meyer (una persona fuori dal comune) e parla di una fuga. Isaac, il più intelligente della città, e il suo amico Poe decidono di abbandonare Buell, un’immaginaria città decadente del Midwest. Tuttavia il loro viaggio si inceppa subito di fronte a un grosso ostacolo.
Il libro di Meyer parla di una generazione devastata dalla crisi (e la fine) dell’industria in questa regione degli Stati Uniti. Una prima protagonista infatti è l’acciaieria, chiusa nel 1987. Quindi il viaggio a ovest più che la ricerca di un sogno per Isaac si configura come la fuga da un incubo.
In questo senso, l’incipit prepara fin da subito il senso di desolazione che porta Isaac ad andarsene.
L’incipit di Ruggine Americana
La madre di Isaac era morta da cinque anni ma lui ancora ci pensava. Viveva solo in casa con il vecchio, vent’anni, basso per la sua età, facile scambiarlo per un bambino. Era tarda mattinata e si avviò svelto per i boschi diretto in città – una piccola figura esile con lo zaino, che si sforzava di non dare nell’occhio. Aveva preso quattromila dollari dalla scrivania del vecchio. Veramente li hai rubati. Fuga dal manicomio criminale. Se ti vedono sciolgono i cani.
Presto raggiunse il punto panoramico: verdi colline ondulate, un fiume fangoso e serpeggiante, un tratto di foresta interrotta solo dalla cittadina di Buell e dall’acciaieria. Anche l’acciaieria prima era stata come una piccola città, ma l’avevano chiusa nel 1987, e parzialmente smantellata dieci anni dopo; ora sorgeva come un antico rudere, con gli edifici coperti di dulcamara, persicaria e ailanto. Le impronte dei cervi e dei coyote formavano una trama fitta sul terreno; ogni tanto ci si accampava un vagabondo.
Eppure era una città pittoresca: file ordinate di case bianche abbracciavano il fianco della collina, campanili di chiese e strade di ciottoli, le cupole alte e argentee di una cattedrale ortodossa. Un posto che fino a poco prima godeva di un certo benessere, il centro pieno di edifici storici in pietra, quasi tutti sprangati con le assi ormai. In certe zone facevano ancora finta di raccogliere l’immondizia, ma altre erano completamente abbandonate. Buell, Contea di Fayette, Pennsylvania. Fayette-nam, la chiamavano spesso.
Isaac camminava lungo i binari della ferrovia per evitare di essere visto, anche se in giro non c’era tanta gente. Ricordava le strade al cambio turno, quando il traffico si fermava e dalla fabbrica di billette sbucava una marea di uomini, coperti di polvere d’acciaio e scintillanti al sole; suo padre, alto e luccicante, si chinava a prenderlo in braccio. Prima dell’incidente. Prima che diventasse il vecchio.
Pittsburgh distava sessanta chilometri e la via migliore era seguire i binari lungo il fiume – potevi tranquillamente saltare su un treno carico di carbone e viaggiare quanto volevi. Una volta in città, sarebbe saltato su un altro treno per la California. Era già un mese che ci pensava. Troppo tempo. Chissà se verrà anche Poe? Poco probabile.
Sul fiume guardò passare le chiatte e un rimorchiatore con i motori ronzanti. Trasportava carbone. Quando l’imbarcazione spari l’aria si fece quieta, l’acqua era torbida e lenta, le foreste arrivavano a riva, avrebbe potuto essere ovunque, il Rio delle Amazzoni, una foto del «National Geographic». Un pesce persico guizzò fra le secche – il pesce in teoria non era commestibile ma lo mangiavano tutti. Mercurio e PCB. Non ricordava cosa indicasse la sigla ma era veleno.
Philipp Meyer, Ruggine Americana