2 film di James Incandenza in Infinite Jest

La locandina di un film di Incandenza nel romanzo Infinite Jest (realizzata da Jessica Segel: http://www.jessicasegall.com/)

James Orin Incandenza (JOI, lol) è tante cose. Oltre il padre di Orin, Hal e Mario è anche uno scienziato, il fondatore di un’accademia di tennis e un regista. I suoi film sono molto importanti per la storia, il particolare l’ultimo, Infinite Jest V. Wallace dedica addirittura la lunghissima nota 24 alla sua filmografia.

Nel romanzo, i soggetti di alcuni film di James Incandenza vengono presentati durante la storia, spesso quando il figlio Hal è “in scena”. Sono divertentissimi da leggere. Inoltre, queste idee geniali potrebbero/dovrebbero addirittura diventare film, secondo me.

Ve ne propongo due: La Medusa contro l’Odalisca e Lo Scherzo

La Medusa contro l’Odalisca

Hal non vuole neanche pensare a quella sinistra produzione sul carnevale delle palle degli occhi. Ma ce n’era un’altra, corta ma molto high-tech, che si intitolava La Medusa contro l’Odalisca ed era un film su una finta produzione teatrale al Teatro Ford di Washington Dc, capitale della nazione, che, come tutti i suoi lavori che avevano a che fare con la sua ossessione per il pubblico, era costata una cifra a Incandenza solo di comparse. Per comparse in questo caso s’intende un pubblico ben vestito di uomini con i basettoni e signore con i ventagli di carta che riempiono tutto il teatro dalla prima fila fino al dietro dei palchi, e guardano un dramma breve ma incredibilmente violento e involuto intitolato appunto La Medusa contro l’Odalisca, la cui inesistente trama è che la mitica Medusa, quella con i capelli di serpente e armata di una spada e di uno scudo splendente, sta lottando per uccidere o pietrificare l’Odalisca di santa Teresa, un personaggio della mitologia del Québec così inumanamente bella che tutti quelli che la guardavano venivano immediatamente trasformati in una gemma dalle dimensioni umane, per l’ammirazione.

In netto contrasto con Medusa, ovviamente, Odalisca ha solo una lima per le unghie invece di una spada, ma ha anche in mano uno specchio con il manico, e Odalisca e Medusa fanno un gran fracasso per venti minuti, saltando sul palcoscenico riccamente ornato mentre una cerca di fare fuori l’altra con le lame e/o disanimare l’altra con i rispettivi riflettori che ognuna sposta qua e là cercando di trovare la giusta posizione in modo che l’altra possa vedere la propria immagine frontale e rimanere immediatamente pietrificata o gemmificata o chissà che cosa. Nella cartuccia si vede bene dalla trasparenza dei pixel lattiginosi e dall’inconsistenza che le due non sono nient’altro che ologrammi, ma non è chiaro che cosa rappresentino, se il pubblico deve vederle/(non) vederle come fantasmi o spettri o entità mitiche «reali» o qualcos’altro. Si tratta comunque di una scena cazzuta di duello sul palcoscenico la cui intricata coreografia era stata curata da un orientale che Lui in Persona aveva trovato in uno studio pubblicitario e aveva messo a dormire nella Casa del Preside, che mangiava come un uccellino, sorrideva in modo molto educato e non aveva mai niente da dire a nessuno a eccezione di Avril con la quale aveva subito fraternizzato – è quasi un balletto, un susseguirsi di momenti drammatici in cui una delle contendenti viene messa all’angolo, di colpi mancati di poco e capovolgimenti di fronte, e il pubblico nel teatro è rapito e completamente preso dallo spettacolo perché gli applausi spontanei scrosciano uno dietro l’altro, forse più per la coreografia dello spettacolo nel film che per altro – in questo caso si potrebbe forse parlare più di meta-applauso spontaneo, pensa Hal – perché la complicatissima coreografia del duello deve prevedere che tutte e due le combattenti rivolgano le loro schiene rispettivamente squamosa l’una e liscia come l’avoriol’altra verso il pubblico, per ovvi motivi… solo che siccome lo scudo e lo specchietto sono marzialmente agitati da ogni parte e branditi in varie angolazioni strategiche, a certi ben vestiti membri del pubblico ben vestito capita di vedere per un attimo l’immagine fatale delle combattenti riflessa nello specchio e viene immediatamente trasformato in una statua di rubino nelle prime file o è pietrificato e cade dalla balconata dei palchi come un pipistrello con un’embolia eccetera. La cartuccia va avanti così fino a che non rimane neanche un essere animato nel Teatro Ford che possa applaudire l’intreccio narrativo della scena del duello, e finisce con i due ologrammi che continuano a fare un fracasso del diavolo davanti a un pubblico di pietre multicolori.

Lo scherzo

Il film più odiato di Incandenza, che aveva una lunghezza variabile e s’intitolava Lo scherzo, è rimasto solo per un breve periodo nelle sale di proiezione, poi è finito nelle ultime sparse sale pubbliche di proiezione di film d’essai preInterLace, in posti pseudoartistici come Cambridge Ma e Berkeley Ca. E per ovvi motivi InterLace non l’ha mai preso in considerazione per gli Ordini a Impulso. Su tutti i cartelloni dei cinema d’essai, sui poster e sulle pubblicità del film era stata aggiunta una didascalia che diceva qualcosa del tipo «LO SCHERZO: si consiglia vivamente di NON spendere soldi per vedere questo film», e gli spettatori abituali dei cinema d’essai pensarono fosse una trovata intelligente e ironica contro la pubblicità in genere, e così cacciarono fuori i soldi per comprare i piccoli biglietti di carta, si misero in coda con i loro gilet di maglia e i pantaloni di tweed, fecero rifornimento di caffè espresso al bar, trovarono posto a sedere, si sedettero e fecero quei movimenti tipici con le gambe che si fanno per trovare la posizione prima che inizi il film, si guardarono intorno con quello sguardo intenso e vuoto al tempo stesso, e si immaginarono che le macchine da presa a tre lenti Bolex H32 – una sorretta da un tipo alto, anziano e curvo, e una installata in modo a dir poco complicato sulla testa enorme di un ragazzo stranamente inclinato in avanti con una specie di sprone di ferro che gli usciva dal torace – gli habitué pensarono che le grandi cineprese vicino alle luci rosse dell’USCITA ai due lati dello schermo fossero là per una pubblicità o per un qualcosa contro la pubblicità o per un documentario metafilmico sul dietro-le-quinte o per qualcos’altro. Tutto questo finché non si spegnevano le luci e iniziava il film e sullo schermo c’era un’inquadratura molto larga del pubblico molto sofisticato di quel teatro d’essai che faceva la fila con il caffè espresso in mano, trovava un posto, si guardava intorno e si sistemava sulla sedia e raccontava al fidanzato o alla fidanzata con gli occhiali con le lenti spesse quelle frasette prefilm per spiegare ciò che volevano significare da un punto di vista artistico la pubblicità Non Pagate Per Vederlo e le cineprese Bolex, e quando le luci si abbassavano si sistemavano definitivamente con la faccia rivolta verso lo schermo (cioè verso di loro, come scoprivano) con il freddo sorriso eccitato di chi spera di assistere a uno spettacolo veramente intellettuale, sorriso che ora le macchine da presa e la proiezione sullo schermo mostravano scomparire dalle facce del pubblico via via che gli spettatori si riconoscevano fila dopo fila e si guardavano con un’espressione sempre meno interessata e sempre più perplessa e poi indignata e poi alla fine incazzata. Lo scherzo durava da ore fino a che rimaneva anche un solo spettatore seduto con le gambe accavallate nella sala a guardare la sua immagine immensa proiettata sul grande schermo che lo osservava con la speciale disapprovazione di un disgustato cinefilo che si sente raggirato, e cioè durava più di venti minuti solo quando c’erano dei critici o degli accademici tra il pubblico, che si studiavano mentre si studiavano a prendere appunti con un’espressione affascinata e se ne andavano solo quando l’espresso li costringeva ad andare al gabinetto, e a quel punto Lui in Persona e Mario dovevano freneticamente rimettere a posto nelle custodie le telecamere, le lenti e i coassiali e si affrettavano a prendere il primo volo attraverso la nazione da Cambridge a Berkeley o da Berkeley a Cambridge, dato che ovviamente dovevano essere pronti sul posto con le Bolex a ogni spettacolo in ogni cinema.

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