3 case cattive nei libri

Una casa molto cattiva e difficile da battere nel videogioco FFVII remake

Può un luogo manifestare una propria volontà? Può una casa essere gentile, accogliente o cattiva e vendicativa, in totale autonomia da chi la abita? Gli spazi mutano in base alle impressioni di chi li osserva, o sono dotati di una propria intenzionalità?

Queste le domande che nelle scorse settimane hanno dominato le mie letture, complice la pandemia che volente o nolente ci ha costretto tutti a casa, riportando il tema dei luoghi che abitiamo, e in particolar modo la casa, al centro dell’immaginario collettivo. L’incubo di Hill House di Shirley Jackson, La casa di foglie di Mark Danielewski, Kill Creek di Scott Thomas, tre romanzi horror scritti rispettivamente nel 1959, nel 2000 e nel 2017, mettono in scena tre case terribili animate da un’umanità fragile e irrequieta, lasciando libero il lettore di trarre le proprie conclusioni.

Shirley Jackson, L’incubo di Hill House

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L’occhio umano non può isolare l’infelice combinazione di linee e spazi che evoca il male sulla facciata di una casa, e tuttavia per qualche ragione un accostamento folle, un angolo sghembo, un convergere accidentale di tetto e cielo, facevano di Hill House un luogo di disperazione, tanto più spaventoso perché la facciata sembrava sveglia, con le finestre vuote e vigili a un tempo e un tocco di esultanza nel sopracciglio di un cornicione. Quasi ogni casa, colta di sorpresa o da un’angolazione bizzarra, può volgere uno sguardo profondamente burlesco su chi la osservi; persino un comignolo dispettoso, o un abbaino che sembra una fossetta possono suscitare nell’osservatore un senso di intimità; ma una casa arrogante e carica d’odio, sempre in guardia, non può che essere malvagia. Quella casa, che sembrava quasi aver preso forma da sola, assemblandosi quel suo possente schema indipendentemente dai muratori, incastrandosi nella struttura di linee e angoli, drizzava la testa imponente contro il cielo senza concessioni all’umanità. Era una casa disumana, non certo concepita per essere abitata, un luogo non adatto agli uomini, né l’amore, né alla speranza. L’esorcismo non può cambiar volto a una casa; Hill House sarebbe rimasta com’era finché non fosse stata distrutta.

Shirley Jackson, L’incubo di Hill House

Scott Thomas, Kill Creek (opzione no spoiler)

Una casa macchiata dal sangue versato non può sfuggire alla dura sentenza delle chiacchiere della gente. I cittadini, percorrendo la tranquilla strada sterrata per Kansas City, cominciarono a parlare della casa come se fosse viva. Come soffrivano per quel povero luogo triste, reso orfano come era successo a tanti bambini nei sanguinosi scontri di confine che avevano preceduto la guerra civile. Era impossibile dire cosa succedeva in quella casa vuota nelle lunghe e buie notti d’inverno, quando il vento attraversava di taglio il bosco sterile per scuotere le sue finestre. In quel posto c’era qualcosa, semplicemente, che spingeva i viaggiatori ad allungare il passo, percorrendo Kill Creek Road. Per le sue dimensioni e l’architettura grandiosa, la casa non rimase vuota per sempre. Qualcuno cercò di farne la propria dimora. Nessuno, tuttavia, si sentì mai il benvenuto in quella casa, e quasi tutti traslocarono entro un anno. Non riuscivano a spiegare perché si sentissero costretti ad abbandonarla. Era come se le pareti rifiutassero di assorbire il loro calore. Anche in piena estate, quando qualcuno varcava la soglia la temperatura scendeva di dieci gradi buoni.

Era diventato un luogo malvagio. Qualcosa di cui avere paura.

Scott Thomas, Kill Creek

Scott Thomas, Kill Creek (opzione sì spoiler)

Quando la gente dimentica, quando il nome “Kill Creek” esce dall’immaginario collettivo, il potere che abita nella casa perde forza. E questo che, secondo me, voleva dire Rachel quando le ho chiesto perché dovevamo inventarci una storia. «Per la forza» aveva risposto.

Guardò Sebastian e ripeté quelle parole: «Per la forza», Sam credette di vedere il vecchio scrittore fare un cenno di assenso, un gesto di comprensione che il resto del gruppo non colse, «In quel periodo, soltanto la gente del posto si ricordava della casa» continuò Adudel. «A Rachel serviva un modo per ricordare a tutti che della casa bisognava avere paura, e io sono servito a quello scopo. Il mio libro le ha ridato forza.»

«Il suo libro alla fine ha smesso di vendere» disse Moore. Non voleva essere un insulto. Era semplicemente un dato di fatto. Adudel annui, con il sorriso sghembo che vacillava. «A un certo punto la gente ha perso interesse, si? quello che come scrittori temiamo tutti, immagino: che ai nostri lettori non importi più delle storie che siamo costretti a raccontare. Le librerie smisero di tenerlo. Il mio editore smise di stamparlo. Si trovavano solo copie usate. Ancora una volta, Kill Creek diventò un’oscura leggenda. Era un nome bisbigliato dagli studenti del college più curiosi, ma interessava a pochi altri. L’entità che abitava nella casa, e che Rachel e Rebecca Finch avevano protetto in maniera così strana, tornò a essere dormiente. In letargo. In attesa.»

«Finché non siamo arrivati noi» concluse Sam.

Scott Thomas, Kill Creek

Mark Danielewski, La casa di foglie

Trascorrono lunghi minuti di buio. Basandosi sul tragitto compiuto da Holloway. Navidson aveva calcolato che la scala si estendeva per la sbalorditiva profondità di circa venti chilometri. Meno di cinque minuti dopo, tuttavia. Tom e Reston sentono un grido. Sporgendosi oltre la balaustra, vedono Navidson con un bengala in mano sul fondo della scalinata, a non più di trenta metri da loro. Subito Tom si convince che si siano imbattuti nella scala sbagliata.

Perlustrando i dintorni, però, Navidson scopre i resti dei segnali luminescenti lasciati dalla squadra dl Holloway. Senza aprire bacca Reston balza giù dalla sedia a rotelle e inizia a scendere le scale. Meno di venti minuti dopo raggiunge l’ultimo gradino. Navidson sa di non avere altra scelta che accettare l’aiuto di Reston, quindi risale per recuperare la sedia a rotelle e il resto dell’equipaggiamento. Curiosamente a Tom sembra andare bene la prospettiva di accamparsi alla scalinata. Sia Navidson sia Reston sperano che la sua presenza permetta di mantenere il contatto radio più a lungo di Holloway, sebbene, entrambi sappiamo che la casa prima o poi fagociterà il loro segnale.

Navidson e Reston si inoltrano nel labirinto, imbattendosi di tanto in tanto in qualche brandello di segnale fotoluminescente e in lenze di vario tipo. A quanto pare neppure quella in acciaio multifilo è immune agli effetti corrosivi del luogo.

«Sembra sia impossibile lasciare una traccia duratura, qui dentro» osserva Navidson.

«La donna che non vorresti mai incontrare» scherza Reston, che con la sua sedia a rotelle riesce sempre a mantenersi un passo avanti a Navidson.

Ben presto. Però, Reston accusa un senso di nausea, e a un certo punto vomita. Navidson gli chiede se si sente male. Reston scuote la testa. «No, è più… merda, non mi sentivo così da quella volta che sono andato a pesca di marlin».

Navidson presume che il mal di mare di Reston. «mal de mer». come lo chiama lui, abbia qualcosa a che fare con la natura mutevole della casa: «Qui si muove tutto in continuazione. Holloway, led e Wax ci hanno messo quasi quattro giorni ad arrivare in fondo alla scala, mentre a noi sono bastati cinque minuti. Si è ritirata come una fisarmonica». Poi, lanciando un’occhiata all’amico: «Ti rendi conto che se si allunga di nuovo sei nella merda, vero?».

Mark Danielewski, La casa di foglie

Bonus track di ok_RAM: una casa cattiva in Final Fantasy VII

Final Fantasy VII remake Non è un horror né un libro. Tuttavia, quando la Hell House ha aperto per la prima volta la porta e mi ha risucchiato al suo interno per riempirmi di danni, un piccolo spavento l’ho provato.

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