Il finale di Il tempo è un bastardo è il punto che chiude un cerchio. La storia inizia nell’appartamento di Sasha e si conclude davanti allo stesso palazzo, ma lei non c’è più (e due dei tanti protagonisti sono irrimediabilmente vecchi).
Si chinò sul pulsante, ogni elettrone del suo corpo proiettato su per quelle scale angolose e male illuminate che ora ricordava con precisione, come se fosse uscito da casa Sasha solo quel mattino. Mentalmente le risalì fino a vedersi entrare in un appartamento piccolo e ingombro – dei viola, dei verdi – pieno di un odore umido di vapore e candele profumate. Il sibilo di un termosifone. Piccoli oggetti sui davanzali. Una vasca da bagno in cucina; sì, ne aveva una! Era l’unica che Alex avesse mai visto.
Bennie gli stava vicino, e insieme attesero, sospesi nella stessa precaria emozione. Alex si sorprese a trattenere il respiro. Sasha gli avrebbe semplicemente aperto, e lui e Bennie avrebbero salito insieme quelle scale fino alla sua porta? Alex l’avrebbe riconosciuta, e lei avrebbe fatto lo stesso? In quel momento, il desiderio che aveva provato per Sasha assunse infine una forma definita: Alex immaginò di entrare nel suo appartamento e di ritrovarci se stesso da giovane, pieno di progetti e di standard altissimi, e con tutto ancora da decidere. Quella fantasia a occhi aperti lo riempì di una speranza irrazionale. Premette di nuovo il campanello, e a mano a mano che altri secondi passavano, un senso di perdita cominciò a svuotarlo. Tutta quella folle pantomima crollò e fu spazzata via.
«Non c’è», disse Bennie. «Scommetto che vive lontanissimo». Buttò indietro la testa a guardare il cielo. «Spero sia riuscita ad avere una bella vita», disse poi. «Se lo merita».
Ripresero a camminare. Alex si sentiva bruciare gli occhi e la gola. «Non so cosa mi è successo», disse, scuotendo la testa. «Davvero non lo so».
Bennie lo guardò, un uomo di mezza con i capelli grigi arruffati e lo sguardo profondo. «Sei cresciuto, Alex», disse, «come tutti».
Alex chiuse gli occhi e ascoltò: la saracinesca di un negozio che scendeva. Il rauco abbaiare di un cane. Il fragore dei camion sui ponti. La notte vellutata nelle sue orecchie. E la pulsazione, sempre quella pulsazione, che forse in fin dei conti non era un’eco, ma il suono del tempo che passava.
la ntte blu
le stlle k nn vedi
ql suono k nn va mai via
Un ticchettio di tacchi sul marciapiede bucò il silenzio. Alex aprì gli occhi di colpo, e lui e Bennie si voltarono – velocissimi – cercando Sasha nel buio cinereo. Ma era un’altra ragazza, giovane e nuova in città, che armeggiava con le chiavi di casa.
Jennifer Egan, Il tempo è un bastardo